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Forlì noir


immagine di testa forlì noir



L'itinerario sul Noir parte da un progetto realizzato nel 2008 dal Comune di Forlì per la serata di 'trekking urbano' che si svolge ogni anno nel mese di ottobre. Il tour si articola in 10 luoghi nel centro di Forlì che hanno fatto da sfondo a misteri, agguati e sanguinose vendette.


Informazioni Turistiche

Indirizzo: IAT - Piazza Saffi, 8 (Sala XC Pacifici), 47121 Forlì (FC), Italia
Telefono: +39.0543.712435
Fax: +39.0543.712755 - +39.0543.712450
Mail: iat@comune.forli.fc.it

Periodo di svolgimento: tutto l'anno

Itinerario

Rocca di Ravaldino - Chiesa di Ravaldino - Piazza Saffi - via Maroncelli - via Moroni - Piazzetta XC Pacifici

Itinerari dettaglio

Il primo di questi episodi riguarda Sinibaldo (1), unico figlio del Signore di Forlì, Pino III Ordelaffi.
Da qualche parte nella Rocca di Ravaldino si trova il suo corpo di bambino di dodici anni, morto in circostanze misteriose nel luglio del 1480.
Il padre era morto nel febbraio di quell'anno e la vedova, Lucrezia Pico della Mirandola, si era barricata nella Rocca nel tentativo di conservare la reggenza per quel figlio (non suo).
I fratelli del marito defunto, in esilio da 14 anni, nel tentativo di recuperare la signoria assediarono la Rocca di Ravaldino.
Contro di loro Papa Sisto IV aveva mandato un esercito e i fratelli Ordelaffi l'8 luglio accettarono una forte somma di denaro in vitalizio per rinunciare all'assedio.
A quel punto si sparse la notizia della morte di Sinibaldo e di conseguenza decadde il diritto alla reggenza di Lucrezia che dovette cedere la Rocca a Sisto IV.
Non ci sono notizie di funerali e sepolture ed il corpo non fu mai trovato e forse cercato. Forse perché avrebbe potuto svelare una verità sgradita.
Forlì era già da tempo promessa dal Papa al nipote, Gerolamo Riario, e Sinibaldo, da morto così come era stato da vivo, non avrebbe costituito che un intralcio.


Ripartiamo dalla Rocca e percorrendo Corso Diaz, giungiamo alla Chiesa di Ravaldino dove di trova il crocifisso (2) che, tra Sei e Settecento, veniva utilizzato in occasione delle condanne a morte.
Retto dal religioso (il confortatore) che doveva badare alla salvezza dell'anima del morituro, il crocifisso precedeva questi verso il patibolo fino all'ultimo istante di vita, così che si può davvero dire che l'austero crocifisso è l'ultimo oggetto terreno che videro diverse decine di sventurati.
Giungiamo ora in Piazza Saffi dove il 1° maggio del 1282 i soldati della ghibellina Forlì, comandati da Giudo da Montefeltro, sbaragliarono, in uno scontro assai cruento, il fior fiore dell'esercito composto da francesi e guelfi italiani, inviato dal pontefice Martino IV a sottomettere la ribelle Forlì, che così meritò la citazione dantesca di sanguinoso mucchio (3). ['La terra che fè già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio' - Dante, Inf. XXVII, 44].
I caduti vennero onorevolmente sepolti, grazie all'intervento dei Battuti Neri, in una grande fossa comune e a ricordo, fu eretta una cappella, la Crocetta, in posizione quasi frontale rispetto all'attuale via Allegretti.
La Crocetta venne demolita nel 1616 per ordine del legato pontificio, probabilmente al fine di eliminare un monumento ormai vecchio e ingombrante, comunque senza il consenso della civica magistratura e col vivo malcontento della popolazione. Il leone, scultura che era presente nella cappella, è forse da riconoscere nel monumentale masso conservato all'interno dell'abbazia di San Mercuriale, all'inizio della navata destra.


Dove si moriva a Forlì 'O meglio: dove, a Forlì, la morte era pubblica, era ostentata, era scenografia del potere e rito collettivo?' Quasi sempre in Piazza Saffi (4). Per lunghi anni la piazza grande fu il luogo in cui avvenivano le esecuzioni capitali: accadeva allora che una folla vociante, curiosa, feroce si accalcasse attorno al disgraziato ed al boia che,
più o meno davanti al palazzo comunale, fissava il ceppo per la decapitazione.
Le scene raccapriccianti non mancarono, ma forse nessuna fu più atroce della difficile decapitazione di Tommaso di ser Filippo (11 dicembre 1432) il quale, affidato ad un carnefice inesperto, ricevette quattordici colpi di mannaia prima di morire.
Un altro clamoroso, orrendo fiasco accadde il 19 marzo 1801, quando, sempre in piazza, fu allestita per la prima volta in città la ghigliottina, costruita dal bolognese Giuseppe Berti.
I due condannati, rei d'omicidio, erano tali Miglietti e Brunini.
Questi fu il primo a mettere il collo nella lunetta, ma la lama per tre volte si abbatté sulla nuca dell'infelice senza staccarne la testa, così che il turpe lavoro fu finito col coltello, tra le urla d'orrore della folla e quelle del povero Brunini che veniva scannato come un maiale.
Il Miglietti, vista la pessima prova della ghigliottina, venne fucilato ed il Berti, maldestro autore di quel lugubre trabiccolo, si prese tre mesi di galera.


Spostandoci in via Maroncelli, al n° 54, si trova Palazzo Malmesi (5) il teatro del più lugubre e noto 'fatto di sangue' di Forlì.
Alberto Malmesi e la fidanzata Dionilla Dal Pozzo erano scomparsi dal dicembre 1914. Si parlò di fuga romantica o di un improvviso cambio di città. Nel marzo 1915, un ragazzino affermò di aver visto trasportare dalla latrina di via Maroncelli due grossi involti, simili a tappeti arrotolati da uno dei quali penzolava un braccio scarnificato. Da questa testimonianza ebbe origine il più straordinario affaire noir della città. Le indagini poliziesche furono minuziose, ed inaugurarono nella nostra sonnacchiosa città metodi di investigazione scientifica che sbalordivano. Imputato del probabile duplice delitto fu, da subito, Erminio Massa, fattore di Alberto Malmesi. Molte testimonianze assicurarono che il fattore spadroneggiava, arrivando perfino ad umiliare in pubblico il padrone. (l'è un imbazèl, diceva - è un imbecille-).
La futura sposa del conte, inserviente all'orfanotrofio cittadino e donna di polso, aveva detto chiaro e tondo al fidanzato: caccia Erminio Massa se mi vuoi sposare. Da qui l'odio tremendo fra i due.
Il processo, seguito da una folla enorme, si concluse il 15 dicembre 1917: il fattore venne condannato a 24 anni di carcere con l'accusa di aver soppresso Alberto e Dionilla e di averne occultato i cadaveri. Morirà poche settimane più tardi, in cella, gridando sempre la sua (improbabile) innocenza e maledicendo chi lo aveva voluto rovinare.


In fondo a via Maroncelli svoltiamo a sinistra in via Della Ripa arrivando così ad imboccare corso Garibaldi.
Lì dove il Corso, dopo palazzo Manzoni e la piazzetta Melozzo, compie una piccola svolta, si trovava anticamente il Ponte dei Morettini (dal nome di una casata che vi aveva residenza). In quel punto, venne assassinato il savonese Jacopo Feo (6) il 27 agosto 1495, mentre, con la moglie Caterina Sforza (sposata in segreto) e il seguito, tornava da una battuta di caccia.
Il matrimonio con la contessa di Forlì gli aveva dato alla testa tanto da fargli assumere un atteggiamento così prepotente da attirare l'odio delle famiglie nobili e non solo. Una congiura organizzata quasi all'improvviso ne decise la morte: mentre cavalcava accanto alla carrozza di Caterina, venne aggredito da sicari che lo aspettavano nascosti nella riva del canale. Fu colpito a morte e lasciato sul posto mentre i congiurati, senza un piano e senza un capo, fuggivano. Caterina ordinò la solita vendetta.


La sera del 26 maggio 1817, all'incirca alle 21:30, il banchiere Domenico Manzoni (7), mentre si recava a teatro, percorsa la via Santa Croce (ora Francesco Canestri) e giunto allo sbocco di essa in via del Teatro (ora Goffredo Mameli); sotto il voltone Teodoli (ora della cartoleria Monti), fu pugnalato al ventre, morendo alle 3:30 del giorno successivo.
L'assassino non fu mai identificato, benché fosse stato promesso un premio in danaro a chi avesse fornito informazioni utili. Varie le ipotesi relative ai motivi dell'uccisione. Si disse che la mano assassina' fosse stata armata dalla fame, avendo il Manzoni speculato sul prezzo del grano, realizzando notevolissimi profitti. Altri sospettarono che fosse stato ucciso da un sicario assoldato dai suoi numerosi nemici. Lo storico forlivese Oliverotto Fabretti sostiene, invece, che Manzoni venne condannato a morte dalla vendita carbonara di Forlì, la Vendita dell'Amaranto, a cui aveva aderito. Successivamente se ne era staccato, legandosi al governo pontificio al fine di meglio coltivare i propri interessi economici e per questo andava punito.


Un altro delitto irrisolto è quello avvenuto in via Moroni (8), stradina stretta e buia prossima a Corso Garibaldi.
Il 30 marzo 1840 fu aggredito, mentre rincasava, Michele Placucci (1782-1840). Una violenta coltellata gli perforò un polmone causandone la morte, dopo un lunga agonia il 2 aprile. Placucci sembrò aver riconosciuto il feritore ma non ne rivelò il nome. Secondo la famiglia dell'ucciso, il colpevole sarebbe stato un figlio illegittimo, che arrivò a tanto perché il padre non aveva più intenzione di mantenerlo o per altri motivi di interesse.

Assai interessante è la figura e l'attività di Placucci: già impiegato nel 1797, a 15 anni, presso l'amministrazione napoleonica, poi funzionario comunale pontificio, nel quale ambito salì i vari gradi della carriera sino a divenire, negli anni '30 del secolo XIX, Segretario capo.
Fu autore di varie opere di storia locale, ma è famoso soprattutto per la pubblicazione di Usi e pregiudizi dè contadini della Romagna (1818), che ne fa il fondatore (inconsapevole) degli studi etnografici romagnoli.
Il ricordo di Placucci è anche un invito a visitare il Museo Etnografico 'B. Pergoli', uno dei primi sorto in Italia (1922).


Tornando in corso Garibaldi voltiamo a sinistra in via Torelli fino ad arrivare in Piazza Ordelaffi dove prendiamo via Degli Orgogliosi arrivando così prima in Piazzetta della Misura e poi in quella dei XC Pacifici.


Piazzetta XC (Novanta) Pacifici, la sera in cui fu ucciso Gerolamo Riario, 18 aprile del 1488.
Su questa piazzetta, all'epoca cortile del Palazzo nel quale sorgeva un pozzo e sul quale si affacciavano le stanze di Caterina, una parte della folla inferocita confluì dopo la defenestrazione del conte. Malauguratamente per lui, stava fuggendo da quella parte il bargello Antonio da Montecchio (9), da molti temuto ed odiato, un giovane che univa alla passione per le torture e le esecuzioni capitali una singolare cura della persona.
Raggiunto dai rivoltosi fu subito colpito a morte, e il suo corpo fu denudato ed i suoi bei capelli bruciati per spregio sulla vera del pozzo, mentre Caterina Sforza gridava dalla finestra scongiurando gli assassini di non ucciderlo.
Per sostituirlo Caterina, una volta domata la rivolta, ricorrerà alla esperienza e alla ferocia di Babone, al secolo Matteo da Castelbolognese, descritto dalle cronache come orribile a vedersi, spietato esecutore delle vendette di Madonna.


L'episodio della defenestrazione del Conte Gerolamo Riario (10) non rappresenta che l'epilogo di una fase politica durante la quale la città di Forlì, in tutte le sue componenti sociali, tentò di scrollarsi di dosso una signoria sgradita e pericolosa.

Gerolamo Riario era stato insignorito dallo zio, Papa Sisto IV delle terre di Forlì e Imola nel 1480, ma solo dal 1484 aveva di fatto 'preso stanza' nei suoi possedimenti di Romagna. Inizialmente ben accolto per una drastica riduzione delle tasse, era stato presto costretto ad imporne nuovamente, suscitando il malcontento prima dei contadini, poi degli artigiani e infine dei nobili.

Una lunga serie di congiure era fallita, ma infine un gruppo di persone, tra le quali i fratelli Checco e Ludovico Orsi, Lodovico Pansecco, Giacomo del Ronco, decisero di evocare l'eterna lotta tra la libertà e la tirannide per motivarne l'uccisione.
Checco Orsi la sera del 14 aprile 1488 si presentò al cospetto del Conte, intento a cenare nella Camera delle Ninfe. Ricorrendo ad un pretesto per avvicinarlo, gli sferrò una pugnalata al ventre e subito fu raggiunto dai complici. Una stoccata alla testa, questa volta mortale, e il Riario giacque a terra.
Nel frattempo Ludovico Orsi in piazza incitava alla rivolta e alla libertà, cercando di radunare gente e scatenare l'insurrezione.
Superata facilmente una prima, debole resistenza da parte dei famigliari del Conte, Checco scese le scale con un gruppo di armati. Il corpo del Conte fu gettato dalla finestra della sala sulla piazza, la terza da sinistra partendo dal lato sinistro della facciata, dove venne straziato e letteralmente fatto a pezzi. All'arrivo della folla i soldati della guardia fuggirono, lasciando che la moglie del Riario, Caterina Sforza, venisse catturata e condotta alle case degli Orsi, mentre la folla si dava al saccheggio del palazzo dei Signori.



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Ultimo aggiornamento venerdì 19 marzo 2021

 

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